“Lo Zio” non è un boss come gli altri.
Certo, fa esattamente tutto ciò che un tipico boss della Camorra deve fare, e il suo lo fa maledettamente bene, per così dire.
Tuttavia ha una passione singolare. Un vero e proprio culto, un appuntamento fisso e imperdibile durante il quale non c’è impegno che tenga.
Il Grande Fratello.
Accade che, come in ogni storia di mafia che si rispetti, lo Zio viene tradito, sfuggendo ad una retata per un soffio: sparisce nel nulla portando con se solo la consorte Gessica, appassionata lettrice di Zafòn, e neanche i suoi vice – i 5 mostri– ne sanno più niente. Per riuscire a comunicare con lui e rivelargli il nome del traditore non ci sarà altra soluzione che il GF, appunto, poiché sono assolutamente certi che non ne perderà neanche una puntata, ovunque si trovi.
Assoldano così un pesce piccolo dei Quartieri Spagnoli, incensurato e grottescamente adatto al ruolo di gieffino, Anthony: sopracciglia ad ali di gabbiano, depilato, <<magro, abbronzatissimo, praticamente tumefatto. Una specie di vip del terzo mondo>>…
<<La madre di Anthony non lo doveva sapere. Lei credeva che quel giovanotto messo al mondo vent’anni prima con la buonanima di Antonio Guardascione – grande conoscitore del sottosuolo partenopeo ed esperto delle rapine “col buco”, fatto fuori da un poliziotto dopo essere sbucato nella banca sbagliata – fosse un bravo ragazzo. Che si limitasse, cioè, a vendere qualche stecca di hashish e a fare piccoli furti. Mai avrebbe creduto che da un giorno all’altro sarebbe diventato un aspirante gieffino.
Saperlo, le avrebbe spezzato il cuore>>

Anthony verrà sottoposto ad un estenuante addestramento da Peppino il fetente in uno squallido scantinato: citazioni d’effetto, balletti imbarazzanti, canzoni frizzantine, affinché sia irresistibilmente trash per gli autori del programma, superi i provini ed entri nella casa pronto ad inviare messaggi in codice allo Zio.
E come in ogni storia di mafia che si rispetti, dicevo, non può mancare un cronista di nera, tale Lorenzo Scateni del quotidiano “Cronache del Meridione” e un poliziotto, Woody Alien…
<<La faccia gli si era incasinata definitivamente durante uno scontro a fuoco con i clan della Locride nel periodo in cui prestava servizio alla Questura di Reggio Calabria. Non che prima fosse un adone, per carità. Ma era soltanto brutto, di una bruttezza intellettualoide -alla Woody Allen, appunto, e da qui il primo soprannome- che a qualcuno poteva anche piacere. Poi, durante la sparatoria, un tizio l’aveva preso di mira con la sua calibro 9, ma quando aveva schiacciato il grilletto il proiettile era andato a conficcarsi in una bombola di gas mezzo metro a sinistra. Non l’aveva mica fatto apposta, come nei film di Steven Segal dove il genio del momento spara al barile di benzina poi la pallottola rimbalza e colpisce l’accendino del cattivo che sta dando fuoco alla sigaretta e poi salta tutto in aria e muoiono solo i bastardi. No, quello l’aveva mancato semplicemente perché aveva una mira di merda. Però aveva beccato la bombola del gas , che era esplosa e gli aveva devastato il volto. Su tutto il resto del corpo, neanche un graffio. Ma ormai non somigliava più a Woody Allen, a meno che il regista non si fosse lavato la faccia con l’acido muriatico. Era Woody Alien, un cesso senza via di scampo.>>

<<Gli avevano assegnato un bulletto di primo pelo, uno di quelli che quando si tratta di sparare girano la pistola in orizzontale come nei film delle gang americane, e si fanno saltare il pezzo di carne fra il pollice e l’indice con lo scarrellamento dell’arma. La polizia riusciva ad arrestarne un sacco grazie alla loro passione cinematografica. Bastava trovare un’arma, individuare residui di pelle e tracce di DNA sul carrello e compararli con quelli di un’ampia cerchia di sospettati. Quando incastrati in un’arma si rinvenivano pezzi di pelle umana, c’era la certezza quasi matematica di poter guardare in faccia il genio del male che l’aveva usata per fare fuoco. Loro lo sapevano, ma continuavano a sparare come i rapper di colore, e gli sbirri continuavano ad arrestarli.
Oltretutto, quello che i killer cinefili non avevano ancora capito era che sparando in orizzontale la precisione del tiro calava drasticamente. Accadeva così che sul luogo di un omicidio gli investigatori trovassero dieci bossoli di pallottole esplose, e due soli proiettili andati a segno. Neanche questo, però, era sufficiente a eradicare la moda dello sparo orizzontale. Il fascino di uccidere un cristiano come se si stesse girando un video di Busta Rhymes era troppo forte.>>
L.
“Nel nome dello ZIO”
S. Piedimonte
edito da Tea,
249 pag.
QUI la mia precedente lettura! Enjoy!